Wednesday, September 23, 2009

L'arte sul web è uno sguardo fugace.



Immagino annoiati navigatori della rete che si adagiano, per volere o per sbaglio, sulle pagine di un sito web dell'ennesimo artista che ha varcato le frontiere del tradizionale modo di esporre.

Li vedo cliccare sui menù, soffermarsi un istante sulla sua biografia, sulle pubblicazioni.
E poi correre a cercare qualche immagine. Forte, divertente, provocatoria.
Qualche click col mouse. Una risata, un sopracciglio che si alza, uno sbadiglio. E l'opera digitale rimane aperta, silenziosa, per una manciata di secondi. Ma l'opera vorrebbe gridare che il colpo d'occhio non è sufficiente. Che è nata con sofferenza, che è colma di orgoglio che talvolta diventa vergogna. Che non è così che doveva andare, che è così che è andata. Che ha dei limiti, o che i limiti li ha superati ancora una volta, ma non è abbastanza. Che è portatrice di sensazioni.

Eppure rimane lì, costretta in quella maledetta bassa risoluzione. In quello spazio limitato, dieci, venti volte più piccola di come è stata concepita. E quella sfumatura, quel riflesso, quel particolare di luce o colore, quella figura sullo sfondo è così minuscola. Questi dettagli vengono inevitabilmente persi.

Per l'occasionale spettatore del web sono ignoti particolari che non vedrà mai. La profondità concettuale e il dettaglio estetico di un'opera viene sacrificata così, da uno sguardo fugace.

Poi il browser si chiude, il visitatore cambia indirizzo, un altro sito. Quanti artisti strillano, quante opere tacciono.